Festival de cine al este: Una mirada a la realidad europea
El evento que refleja lo mejor del cine independiente de Europa Central y Oriental celebra su décima edición
Comienza una nueva edición del aclamado Festival de Cine Al Este, desde
el 29 de mayo al 8 de junio. Más de 100 películas serán proyectadas en
salas peruanas, muchas de ellas en calidad de estreno latinoamericano, y
algunas con temática punk y underground.
El público peruano podrá apreciar esta importante muestra en diferentes
escenarios, como el Centro Cultural PUCP, Sala Armando Robles Godoy,
Cine Olaya, Cinemark San Miguel y Jockey Plaza, entre otros.
En su décima edición, el Festival de Cine Al Este presentará diez
categorías en las cuales destacan la Competencia Internacional de
Ficción y Competencia Internacional Documental, ambas abarcarán diez
largometrajes, respectivamente.
Otra de las categorías destacadas es Al Este Especial con producciones
de estreno; algunas de las cuales han sido galardonadas este año y son
muy esperadas por el público. Es importante resaltar que por ser
consideradas favoritas no entran en ninguna de las competencias.
Il cinema di F.J. Ossang può essere letto nei termini di un cinema post-moderno. Al di là del contenuto citazionista, però, una delle caratteristiche dell’arte tipica del post-modernismo è la rappresentazione di una realtà sociale frammentata, relativa, precaria. E come per qualsiasi approccio estetico, anche l’arte di Ossang sembra scaturire da riflessioni che, della vita, contemplano sia la superficie sia ciò che rimane nel profondo, nei pensieri consci o nella realtà dell’inconscio così com’è rappresentata, anche, attraverso la materia onirica. L’approccio della psicoanalisi sembra adatto a contemplare tanto l’esistenza quanto la necessità, a volte, di quella relatività tipica di ogni realtà.
F.J. Ossang – regista, scrittore e musicista pioniere del rock
alternativo – autore di culto dal forte impatto e originalità è
sicuramente uno dei registi meno normalizzati sul panorama
cinematografico internazionale. A Venezia arriva in prima mondiale con Dharma Guns
– il suo quarto lungometraggio – in concorso nella sezione Orizzonti.
Accolto da un lungo e caloroso applauso alla sua prima proiezione
pubblica, Ossang ha lavorato in passato con Joe Strummer ex-cantante dei
Clash e con William S. Burroughs, esponente della beat generation. Il
film è un lungo viaggio verso l’ignoto in cui il protagonista – Stan –
risvegliandosi dal coma, dopo un incidente di sci d’acqua nel quale
rimane uccisa la fidanzata Délie, apprende di essere l’erede del
misterioso professor Starkov. Partito verso il paese di Las Estrellas
viene a sapere che il professor Starkov – probabile padre di Dèlie – ha
creato un procedimento chiamato “doppio genetico” di cui Stan e Dèlie
potrebbero esserne state le cavie. Inizia – così – per Stan un’odissea
di espiazione in cui intuito e telepatia accelerano il corso del tempo… “Dharma Guns
– dice Ossang – è un film che ho realizzato dopo diversi anni di
silenzio nei quali ho viaggiato, scritto, e meditato sul film senza,
però, smettere di guardare l’evoluzione del cinema contemporaneo. Ho
voluto attingere – continua Ossang – a un cinema di rivelazione bianco e
nero, sole, oscurità, foschie ed elettricità come unici elementi.
Lontano dal rivendicare una forma cinematografica post moderna vorrei
riaffermare un cinema moderno e al contempo espressione di uno stile
antico senza ricorrere ad un eccesso di immagini, tornando ad una
poetica cinematografica di volti e paesaggi. In un tempo in cui la morte
“industriale” del cinema sembra essere razionalmente, tecnicamente ed
economicamente organizzata – conclude Ossang – spero di dimostrare che
un cinema di poesia e avventura fantastica è possibile, o meglio, è
necessario”.
Dopo
il premio per la regia al Festival di Locarno, 9 Doigts, quinto
lungometreggio del francese F.J. Ossang, trova una distribuzione in
sala: un lavoro dalla natura composita e ricca di fascino, tra
suggestioni di genere, riflessioni di ampio respiro, riferimenti
letterari e cinematografici.
9 dita di tenebra
In
fuga dalla polizia, Magloire viene avvicinato da un uomo moribondo, che
gli consegna una grossa somma di denaro. Catturato da una banda
criminale, l’uomo viene costretto a imbarcarsi su una nave che porta un
carico radioattivo, diretta verso un’”isola che non c’è” da incubo. [sinossi]
Che un’opera come 9 Doigts,
quinto lungometraggio del regista F.J. Ossang, abbia trovato una (sia
pur limitata) distribuzione in sala, è certo un fatto positivo. Un
piccolo riconoscimento da parte della distribuzione italiana, per il
regista – e musicista, scrittore e poeta – francese, dopo il Pardo
d’argento per la regia a Locarno; nell’auspicio di una visibilità che
vada un po’ al di là del semplice circuito festivaliero e della
curiosità degli addetti ai lavori. Un risultato che, comunque, non
cancella la radicalità del film di Ossang, sospeso tra suggestioni di
genere e excursus metafisici, tra accelerazioni quasi pulp e riflessioni
di ampio respiro, condite di riferimenti letterari e cinematografici.
Un film, quello di Ossang, che inizia in media res, senza dare grossi
punti di riferimento allo spettatore: un uomo in fuga, una valigia che
passa di mano in mano, una banda e un imbarco su una nave. Le
motivazioni dei personaggi, anche quando ci vengono spiegate, restano
nebulose, indistinte come le forme che si intravedono sulla
nave/vascello che trasporta i protagonisti, distorte come il volto del
protagonista Magloire riflesso nell’acqua. Intuiamo che la loro
missione, che ha come destinazione un’isola composta da rifiuti
plastici, è solo il sintomo di un disfacimento più generale, che ha
coinvolto l’intera umanità.
In pochi credevano, dopo il Festival di Locarno 2017, in cui vinse il Pardo d’argento per la miglior regia, che 9 Doigts (9 Dita) di F.J. Ossang si sarebbe mai visto in Italia: fosco, catramoso com’è, cargo perso in spazi problematici di non-senso. Eppure in questi giorni Ossang è in viaggio in Italia per presentare il suo film, grazie alla distribuzione congiunta di Rodaggio Film e Reading Bloom, quest’ultima già protagonista qualche mese fa della diffusione in Italia di un altro bianco e nero fortemente espressivo come Still Recording.
MA QUELLO di Ossang è un impasto di cenere e fumo,
come eruttato dal centro di Nowhereland, l’isola a cui la nave sembra
destinata, e diffusosi per tutto lo spazio del film, sotto forma di
cirrostrati di pece che gorgogliano di musica elettronica, di noise, con
venature industrial. E si mischia, questo bianco e nero, con il grigio
di lamiera, di metallo bisunto del bastimento, per coprire
irrimediabilmente il cielo e la pupilla lunare che prima era spalancata a
scrutare, sonnambula, l’intrigo del noir che si snoda, anzi si
decostruisce nell’intrico delle cabine.
La sovversione dell’anima è declinata nelle più variegate sfumature, dal
bianco conducono al nero, e dalle tenebre scivolano nuovamente verso
chiarori luminosi, la rifrazione della luce accende i grigi,
illuminandoli di scintille che accendono la notte; barlumi lattescenti
scivolano liquidi tra le pieghe più nascoste della mente umana.
Rileggendo
le trame del noir, F. J. Ossang libera la materia filmica plasmandola
in un ibrido di contaminazioni fra generi e forme con un’esplosione
anarchica, creando un corpo unico, un organismo libero fagocitante
esperienze e derive narrative. La storia narra di un cargo in
viaggio alla volta di una “virtual zone”, l’isola di Nowhereland, una
nave fantasma in rotta verso l’isola che non c’è, un non luogo dove sono
diretti Magloire (Paul Hamy) e strambi personaggi, a bordo una cassa di
polonio, materiale esplosivo pronto a detonare. «La nave volava, si
schiantava contro le mantelline, stellava i muri. Qua e là, negli
intervalli di notte, fra i lampioni, si vedeva il dettaglio di un volto
rosso dalla bocca spalancata, di una mano che indica il bersaglio.» (J.
Cocteau 2015, pag. 17)
Un percorso, seguendo il flusso della
follia, in un luogo fantastico, come il cinema di Ossang, così
insurrezionale e terrorista, come un congegno pronto a tuonare in
qualsiasi momento. Antonin Artaud sovente dipingeva come «velenosa» ed
«eccitante» la settima arte, la rivelazione di un «imponderabile», di
una «liberazione delle forze oscure del pensiero»: l’immagine,
nell’accezione artaudiana, è un insieme di forze esoteriche e misteriose
che sono pura emanazione «della vibrazione stessa e della stessa
origine incosciente, profonda, del pensiero» (A. Artaud 2001, pag. 147).
Ossang dà vita a una struttura anarchica, dotata di uno sconquassante potere tellurico, con un bianco e nero espressionista e dalle nebulose atmosfere oniriche. 9 Doigts, presentato in concorso a Locarno70, dove ha vinto il Pardo per la migliore regia, è un’opera squisitamente punk, una composizione visionaria, vicina per fragore alla musicalità dei New York Dolls o dei britannici Sex Pistols; un’astrazione che dal classicismo del noir anni Quaranta scivola in una rapsodia metafisica dai toni allucinati.